Per configurare la diffamazione a mezzo Facebook, o altro social network, non vi sono solo le offese esplicite all’altrui reputazione, ma configura il reato anche la sola pubblicazione di foto di amici in atteggiamenti imbarazzanti, taggati o meno che siano.
Non solo: anche “qualche battuta particolarmente offensiva” rivolta ad un soggetto determinato ritratto in una foto pubblicata su internet, integra la fattispecie delittuosa.
Un altro esempio? Bè potrebbe integrare il reato di diffamazione anche “taggare” un amico un po’ ubriaco in un locale equivoco – ed infatti, laddove poi quest’ultimo sporga querela, il querelato non potrà sostenere, in sua difesa, di aver ottenuto precedentemente l’autorizzazione dell’amico per farsi fotografare. E ciò in quanto l’utilizzo dell’immagine, se lesiva della reputazione, per legge rimarrà comunque illecita! Ancora un altro esempio?
Questa volta cambiamo reato e lo indirizziamo al coniuge geloso: costruirsi una falsa identità, tentando di scovare la relazione adulterina del marito (o della moglie), è illecito:ciò integra, infatti, il reato di “sostituzione di persona” punito con la reclusione fino ad un anno.
Ed infatti, oltre all’episodio del ragazzo da noi citato in un altro articolo, che ha pubblicato le foto della sua ex ragazza commentandole in modo “provocatorio”, e a questi ultimi esempi appena citati, sono state tante le pronunce penali nei confronti di proprietari di profili facebook.
I Tribunali di tutta Italia, in effetti, hanno visto aumentare in maniera esponenziale la richiesta di risarcimento danni per l’utilizzo, in modo improprio, di questo famoso social network.
Vogliamo fare altri esempi?
A Molfetta, in provincia di Bari, un imprenditore ha querelato un suo ex collaboratore per averlo definito “bastardo” su facebook. Invece, a Torino, un professore ha denunciato uno studente per averlo iscritto al social network a sua insaputa e per avergli attribuito “perversioni imbarazzanti”. Così anche a Firenze ove sono state presentate almeno due querele per diffamazione a mezzo Facebook. E, per finire, in una scuola superiore di Siena, una bidella ha chiesto ad otto dei suoi studenti un risarcimento danni di migliaia di euro per aver creato, sul social network facebook un gruppo contro di lei.
Ebbene, come spiegato dal prof. Giuseppe Conte, professore di diritto privato e avvocato esperto di privacy e comunicazioni elettroniche, l’utilizzo di Facebook “non può sottrarsi alle regole del diritto comune e gli utenti dei social network non possono invocare la spazialità virtuale quale esimente per le loro affermazioni e i loro comportamenti. La tutela dei beni morali e, più in generale, dei diritti della personalità non viene sospesa nello spazio telematico».
Ricordo inoltre, che dallo scorso 20 marzo 2011, è previsto per tutte le cause aventi ad oggetto “la diffamazione” l’obbligatorio tentativo di mediazione, avanti un conciliatore abilitato, prima di ricorrere in sede giurisdizionale (D.Lgs. 28/2010).