Con la sentenza num. 7929 del 2011, la VI sez. penale della Corte di Cassazione ha stabilito la possibilità di estendere, anche al soggetto che ricopre la qualifica di amante, la tutela penale apprestata dall’art. 572 c.p. ovvero la previsione, in proprio favore, del delitto di maltrattamenti in famiglia.
Ma come è stato possibile, per i Supremi Giudici, estendere anche all’amante -che per sua stessa natura è un soggetto che si colloca “al di fuori della famiglia”- così come tutelata dal nostro ordinamento, questa fattispecie?
Il caso è partito da un ricorso presentato al Tribunale del riesame di Messina, ove un soggetto era stato condannato a 9 anni di reclusione per aver
gravemente percosso, in maniera abituale, la propria amante, procurandogli lesioni personali volontarie aggravate.
Ebbene, proprio la caratteristica di “relazione stabile“, tipica di alcuni rapporti extraconiugali, ha indotto il Tribunale prima, e la Corte di Cassazione poi, ad estendere il reato di maltrattamenti in famiglia, anche alla relazione adulterina.
Contro la decisione del riesame, successivamente, l’uomo aveva deciso di ricorrere alla Suprema Corte evidenziando, in propria difesa, la carenza dell’elemento costitutivo del reato di maltrattamenti in famiglia, contestatogli dall’accusa e previsto dall’art. 572 c.p.
L’uomo, in particolare, aveva sottolineato la circostanza che egli ancora era sposato e conviveva con la moglie, ed i loro figli, nella casa coniugale e che la relazione adulterina, con la sua amante, non sarebbe mai sfociata in “uno stabile rapporto di comunità familiare“, tale da far scaturire una situazione giuridica “suscettibile di determinare reciproci rapporti e obblighi di solidarietà ed assistenza” tra gli amanti (caratteristica indefettibile del delitto di cui all’art. 572 c.p.).
.La VI sezione penale della Cassazione, però, con la sentenza in oggetto, ha ritenuto infondata le tesi prospettata dall’indagato, il cui ricorso è stato dichiarato inammissibile, così confermando la misura cautelare disposta nei suoi confronti e, sottolineando, la possibilità anche sul piano giuridico (oltre che affettivo) di una piena equiparazione dell’amante alla moglie. Gli Ermellini, con la loro motivazione, specificarono, inoltre, come l’ l’illecito previsto dall’art. 572 c.p., si possa configurare tutte le volte in cui tra l’agente e la vittima ricorra un rapporto stabile e duraturo, assimilabile alle consuetudini familiari, il quale, necessariamente, deve determinare l’insorgenza di una serie di reciproci doveri di assistenza e di solidarietà e la cui violazione integrerà gli estremi del reato in questione.
Dunque, sulla base di detta motivazione, che peraltro sta iniziando ad essere condivisa dalla giurisprudenza già da un po’ di tempo, pacificamente può sostenersi che il reato di maltrattamenti in famiglia, ex art. 572 c.p., potrà essere configurato non solo quando l’azione delittuosa sia commessa ai danni dell’amante, ma anche della persona convivente more uxorio, essendo il richiamo contenuto nell’art. 572 c.p. alla “famiglia” quale “ogni consorzio di persone tra le quali, per strette relazioni e consuetudini di vita, siano sorti rapporti di assistenza e solidarietà per un apprezzabile periodo di tempo, ricomprendendo, in questa nozione, anche la famiglia di fatto” (Cass. pen., sez. II, sent. num. 40727/2009).